sabato 12 novembre 2011

La Terra dallo spazio


Questa spettacolare immagine del nostro pianeta è la più dettagliata che abbiamo dell'intera superficie in colori originali.

Utilizzando una collezione di immagini ottenuti da varie osservazioni satellitari, i ricercatori e un gruppo di tecnici di visualizzazioni di immagini hanno collaborato insieme nello studio e osservazione delle terre emerse, degli oceani, dei ghiacci marini e delle nubi per ricavare un mosaico di immagini di ogni chilometro quadrato di superficie terrestre.
Molte delle informazioni contenute in questa foto sono state ricavate dal Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer (MODIS) della NASA a bordo del satellite Terra.

L'immagine è stata ottenuta il 2 agosto 2002.

Image and caption adapted from NASA's Visible Earth catalog. Credit: NASA Goddard Space Flight Centerl Image by Reto Stöckli (land surface, shallow water, clouds). Enhancements by Robert Simmon (ocean color, compositing, 3D globes, animation). Data and technical support: MODIS Land Group; MODIS Science Data Support Team; MODIS Atmosphere Group; MODIS Ocean Group. Additional data: USGS EROS data Center (topography); USGS Terrestrial Remote Sensing Flagstaff Field Center (Antarctica); Defense Meteorological Satellite Program (city lights).

Fonte: Climate Change- NASA: http://climate.nasa.gov/imagesVideo/earthWallpaper/index.cfm

Sabrina

Un nuovo iceberg in formazione su Pine Island


Immagine dal Landsat, gennaio 2001. Credit: NASA.


In Artartide, dal Ghiacciaio di Pine Island sta per staccarsi un gigantesco blocco di ghiaccio. Al momento questo blocco misura trenta chilometri di lunghezza e ha una profondità di cinquanta metri. Ogni giorno la frattura del ghiacciaio si allarga di circa due metri.

Ice Bridge è il nome della missione della NASA che fotografa i ghiacci dell'Antartide. Durante queste spedizioni è stato possibile osservare un'enorme frattura nella piattaforma del Pine Island Glacier lunga 18 chilometri che si sta allargando con un ritmo di circa due metri al giorno.

La frattura con una profondità di circa 50 metri, potrebbe far nascere un iceberg di 880 chilometri quadrati, dimensioni ragguardevoli che sono pari alle dimensioni di una città grande come quella di New York. Grazie alla missione Ice Bridge sarà possibile seguire il fenomeno del distacco.

Il fenomeno, secondo gli studi compiuti, non dipende dal riscaldamento globale ma avviene per motivi naturali. La fenditura è stata osservata per la prima volta alla fine di settembre 2011, quando i ricercatori della NASA stavano sorvolando con un aereo i ghiacci antartici per osservarne i cambiamenti. L'iceberg dovrebbe formarsi completamente entro l'inizio del 2012.

Iceberg di queste dimensioni si formano in modo periodico in Antartide. L'ultimo iceberg che si è staccato da Pine Island è stato nel 2001.

Fonti: Earth Observatory: http://earthobservatory.nasa.gov/IOTD/view.php?id=1300

NASA: http://pigiceshelf.nasa.gov/

TG1: http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-be7b9b92-22b2-4b43-acc5-5b642e9676cc.html?p=0&refresh_ce

Sabrina

venerdì 11 novembre 2011

Il Sole dalla Stazione Spaziale


La bellezza di un sole sull'orizzonte e dell'atmosfera terrestre. La foto è stata presa dall'equipaggio della spedizione 15 a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) il 3 giugno 2007.
Credit: Image and caption courtesy of NASA Goddard Photo and Video photostream. Credit: NASA.

Disponibile su: Climate Change - NASA: http://climate.nasa.gov/imagesVideo/earthWallpaper/index.cfm

Sabrina

mercoledì 2 novembre 2011

Le nubi nottilucenti

Nubi nottilucenti a Venezia - Credit: Mautizio Estri, 2006.

di Umberto Genovese

Alle latitudini più elevate, di solito sopra i 50° [1], nei mesi estivi capita di osservare nel cielo un tipo molto particolare di nubi chiamate nottilucenti (in inglese Noctilucent Clouds o NLC, oppure Polar Stratospheric Clouds o PSC), chiamate così perchè paiono risplendere quasi di luce propria contro il fondo più scuro del cielo.

In realtà non è così, sono particolari e rare formazioni nuvolose che si formano nella mesosfera (la parte più alta della stratosfera), a 50-70 chilometri di quota – mentre di solito le nubi più alte non superano i 12 km di quota (troposfera) – illuminate dal Sole sotto l’orizzonte tra il crepuscolo civile [2] e il crepuscolo astronomico [3], ovvero tra 24 minuti a 72 minuti prima – o dopo – che il Sole sorga – o tramonti.



Credit: Il Poliedrico.

Le NLC furono notate la prima volta nel 1885, dopo l’esplosione del vulcano Krakatoa, avvenuta nel 1883 in Indonesia. Questo evento portò a ipotizzare che queste nubi fossero causate dal residuo di polveri vulcaniche nell’alta atmosfera, e che meccanismi simili, come ad esempio polveri meteoriche, potessero alimentarle.

Purtoppo è estremamente difficile analizzare queste nubi: sono troppo alte per i palloni sonda e troppo basse per i satelliti. Solo le sonde a razzo possono analizzarle per pochi secondi, insufficienti per qualsiasi tipo di analisi approfondito e continuativo.

Adesso sappiamo però che sono minuscoli granuli di ghiaccio che probabilmente si aggregano attorno al pulviscolo metorico o vulcanico che funge da seme di crescita per i cristalli.

Le recenti eruzioni vulcaniche del 2010 in Islanda e in Kamchatka hanno certamente contribuito al pulviscolo vulcanico nella mesosfera, il problema però che non è di facile soluzione è il meccanismo che trasporta l’acqua (o meglio vapore acqueo) in quella fascia atmosferica che è orribilmente secca.

Il ruolo dell’acqua

Il ciclo del vapore acqueo nella mesosfera è estremamente importante quanto per ora quasi sconosciuto.
Infatti se l’acqua sulla superficie del pianeta è necessaria per la vita, nella mesosfera distrugge lo strato di ozono che ci ripara dalla radiazione ultravioletta del Sole [4].



L'atmosfera terrestre. Credit: Wikipedia.

Uno dei principali responsabili del meccanismo di produzione dell’acqua stratosferica pare essere il metano, considerato da molti politici e scienziati come il più pulito dei combustibili naturali – volutamente dimenticando di menzionare che è un potente gas serra naturale 72 volte più potente dell’anidride carbonica, che viene trasportato dalle correnti d’aria oltre la stratosfera e scisso nei suoi componenti atomici dalla radiazione ultravioletta del Sole [5].

I prodotti della scissione del metano distruggono le molecole di ozono per produrre molecole d’acqua, che poi si manifesta formando le nubi mesosferiche polari.

In pratica, la fotolisi del metano (CH4) produce metile (CH3) e idrogeno atomico (H). L’ozono invece si produce attraverso l’assorbimento della radiazione solare ultravioletta da parte delle molecole di ossigeno che si scompongono e ricompongono continuamente, ma l’ossigeno atomico anziché ricombinarsi con quello molecolare per riformare l’ozono, si lega con l’idrogeno formando ossidrile (O + H -> OH) e in seguito acqua (H + OH -> H2O).
Il feedback positivo innescato dai radicali liberi prodotti dalla fotolisi del metano, e probabilmente anche da altri tipi di idrocarburi arrivati nella troposfera, sopra lo scudo di ozono e la conseguente produzione di vapore acqueo, è in grado di distruggere lo strato di ozono con estrema facilità.



Credit: Wikipedia.

Altra acqua può arrivare attraverso materiale microcometario dallo spazio esterno. Non sappiamo quale meccanismo tra questi sia il più importante, ma quasi certamente l’ordine è questo, e sappiamo che il vapore acqueo e i cristalli di ghiaccio sono altrettanto nocivi per lo strato di ozono quanto i meccanismi che li creano [6], quasi quanto il cloro e il bromo dei CFC rilasciati nell’atmosfera dalle attività umane fino alla loro messa al bando nel 1990 [7].

Un’altro evento deleterio per l’ozono che diventa ancora più instabile perché ostacola il suo ciclo naturale è il freddo.

Durante l’estate la mesosfera polare raggiunge i 110° K (-163 Celsius) perché è troppo sottile (un centomillesimo di bar) per trattenere il calore come gli strati più bassi, anzi il calore solare assorbito viene consumato per espandersi, e quindi raffreddarsi ancora di più. Un accentuato effetto serra limita la convezione del calore trattenuto dagli strati inferiori dell’atmosfera verso la stratosfera, col risultato che questa si raffredda molto di più a fronte dell’aumento della temperatura nella troposfera, alterando significativamente il ciclo di produzione dell’ozono.
Le conseguenze per l’equilibrio termodinamico dell’atmosfera sono tremende anche per la circolazione dei venti come li abbiamo conosciuti fino ad oggi.

Alcuni scienziati sono scettici che stia aumentando il metano nella mesosfera – e quindi il vapore acqueo – necessario alla produzione delle NLC, obbiettando che una maggiore presenza di vapore acqueo dovrebbe riflettersi nella formazione di cristalli più grandi e quindi di nubi più luminose.
A mio avviso sbagliano, le dimensioni dei cristalli di ghiaccio possono rimanere le stesse per i più disparati motivi legati alla particolare chimico-fisica ambientale, questo si tradurrebbe automaticamente con l’avere nubi molto più estese con la stessa solita luminosità.

In effetti è quello che si registra da quasi cinquant’anni: nonostante che il numero degli osservatori sia rimasto pressoché costante, un po’ tutti loro sono concordi di un aumento delle NLC segnalate [8], mentre anche le attività industriali fanno sempre più ricorso ai combustibili fossili e naturali.

Il buco nell’ozono artico

Comunque sia, il gemello del famigerato buco dell’ozono antartico adesso lo abbiamo anche noi sulle nostre teste [9], e non sono i CFC i responsabili, quanto potrebbe quasi sicuramente essere la nostra stessa tecnologia che fa largo uso degli idrocarburi: infatti se mettessimo sullo stesso grafico temporale la storia umana degli ultimi 200 anni e le nubi nottilucenti ci renderemo conto come siano apparse la prima volta all’inizio della cosiddetta seconda era industriale [10] e siano state presenti nei cieli polari quasi ininterrottamente fino ad oggi [11].



Conclusioni

Adesso è chiaro il collegamento tra l’esistenza delle NLC e il deterioramento dell’ozono stratosferico. Molto probabilmente il principale responsabile è il metano e in ultima istanza la dipendenza dai combustibili fossili e naturali (CFN) della nostra società.

Così scopriamo come i CFN non sono responsabili solo del Global Warming, ma anche del significativo deterioramento dello strato d’ozono che ci protegge dagli ultravioletti solari, con tutte le sue deleterie conseguenze, visto che va a incidere proprio sulle aree più densamente popolate e tecnologicamente avanzate del pianeta.

Ovviamente è improponibile un passo indietro nel progresso tecnologico, piuttosto è indispensabile un passo avanti per superare la dannosa dipendenza dai CFN verso forme energetiche sostenibili, rinnovabili e più efficienti.

Sono bastati sessant’anni di uso dei CFC per fare un danno ecologico senza precedenti e di questi 21 sono trascorsi tra accorgersi del problema e avviare una soluzione. Lo sforzo politico mondiale è stato notevole e nella giusta direzione.
Soprattutto ora in questa fase di crisi economica sarà più facile chiedere dei sacrifici nello stile di vita alla popolazione del pianeta, soprattutto poi se da questi tutti ne trarranno beneficio in termini di riduzione degli sprechi energetici e dell’inquinamento ambientale.

Ricordate il mio Punto Triplo dell’Umanità? Sta a noi decidere adesso con le nostre scelte e i nostri sacrifici se lasciare alle future generazioni un mondo pienamente vivibile o un mondo di caos senza più speranza.

Intanto è importante tenere d’occhio il fenomeno delle nubi nottilucenti anche dove – per ora – non sono state avvistate, non si sa mai … [12].

[1] Il fenomeno delle nubi nottilucenti è stato osservato anche a Venezia nel 2006.

[2] Il Crepuscolo Civile si ha quando il Sole supera i 6° sotto l’orizzonte. Prima di quel momento la luce diffusa dell’atmosfera permette di riconoscere gli oggetti e la linea dell’orizzonte.

[3] Il Crepuscolo Astronomico si ha quando il Sole è 18° sotto l’orizzonte ed esso non dà alcun contributo all’illuminazione del cielo.

[4] Questi sono i principali rischi per la salute umana e l’ecosistema terrestre: Key Findings of the Impact Assessment of Stratospheric Ozone: http://www.ciesin.org/docs/011-466/box1.html

[5] Una tabella delle reazioni chimiche nell’atmosfera è disponibile qui: http://www.atmos-chem-phys.org/4/2427/2004/acp-4-2427-2004-supplement.pdf

[6] The uptake of atomic oxygen on ice films: Implications for noctilucent clouds: http://pubs.rsc.org/en/Content/ArticleLanding/2003/CP/b305555h

[7] Nonostante che il loro uso sia stato sostanzialmente proibito e sospeso i clorofluorocarburi continuano ad essere ancora presenti nella stratosfera con tutto il loro potenzale dannoso.

[8] Essendo la presenza dei radicali liberi legata alla presenza della radiazione ultravioletta del Sole, le NLC rispecchiano il ciclo di attività undecennale solare, ma … sfalsato di un anno!

[9] Unprecedented Arctic ozone loss in 2011: http://www.nature.com/nature/journal/v478/n7370/full/nature10556.html

[10] L’Era Industriale moderna è nata tra il 1760 e il 1830 con le prime macchine azionate dal vapore che hanno progressivamente sostituito le fonti energetiche animali meno efficienti con macchine ad energia meccanica. La Seconda Era Industriale si è sviluppata tra il 1870 e il 1880 con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. Adesso saremmo nella Terza Era Industriale convenzionalmente iniziata nel 1970 con la diffusione elettronica di massa e l’informatica.

[11] Relation between increasing methane and the presence of ice clouds at the mesopause: http://www.nature.com/nature/journal/v338/n6215/abs/338490a0.html

[12] Altre immagini delle NLC sono disponibili qui: http://spaceweather.com/nlcs/gallery2011.htm

Pubblicato inizialmente su Il Poliedrico: http://ilpoliedrico.altervista.org/2011/11/le-nubi-nottilucenti-e-il-buco-nellozono-artico.html

Umberto

lunedì 31 ottobre 2011

Oggi in 7 miliardi sul pianeta Terra


Un grande evento per la Terra: oggi tocchiamo la soglia dei 7 miliardi.

Probabilmente il bebè nascerà in Africa e probabilmente sarà femmina. Lo dice il Rapporto su "Lo Stato della popolazione nel mondo 2011" dell'UNFPA, Il Fondo della Nazioni Unite per la Popolazione, la cui versione italiana è stata curata da AIDOS, l'Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo.

Come afferma Giulia Vallese dell'Agenzia ONU alla presentazione del rapporto, non si tratta di una questione di spazio, perchè "se ci mettessimo in piedi, spalla a spalla, 7 miliardi di persone occuperebbero la superficie della citta' di Los Angeles" - quanto piuttosto di "investire e pianificare", a cominciare dalla famiglia, puntando su donne e giovani per accelerare il progresso nei Paesi in via di sviluppo. "Ci sono milioni di donne in questi Paesi che, potendo scegliere, vorrebbero avere meno figli o farli piu' tardi, ma questo non avviene a causa della mancanza di politiche adeguate e di barriere culturali, sociali ed economiche" ha concluso la Vallese.

Secondo il documento, l'Asia restera' l'area più popolosa del mondo anche nel XXI secolo, ma l'Africa guadagnera' terreno e la sua popolazione sara' piu' che triplicata, passando da un miliardo nel 2011 a 3,6 nel 2100. Nel 2011 il 60 per cento della popolazione mondiale vive in Asia e il 15 per cento in Africa. Ma la popolazione africana sta crescendo a un ritmo di circa il 2,3 per cento all'anno, un tasso piu' che doppio rispetto all'Asia (1 per cento). La popolazione asiatica, oggi di circa 4,2 miliardi, dovrebbe raggiungere il picco di crescita verso la meta' del secolo (5,2 miliardi nel 2052) per poi iniziare a decrescere.

Le previsioni dicono che nel 2100 il numero della popolazione aumenterà fino a 15 miliardi, lo sviluppo sostenibile del pianeta

Auguri al nuovo Bebè, auguri alla Terra.


Sabrina

domenica 16 ottobre 2011

Alaskan Shimmer


Image and caption courtesy of the Our Earth as Art gallery. Credit: USGS/NASA/Landsat 7. Cliccare per ingrandire.


Continuiamo con la carrelata di splendide immagini provenienti dal nostro pianeta e tratte dal sito della NASA Global Climate Change.

La lingua di ghiaccio Malaspina, il più grande ghiacciaio in Alaska, riempie la maggior parte di questa immagine. Il Malaspina si trova ad overst di Yakutat Bay e copre circa 3 880 chilometri quadrati.

L'immagine è stata ripresa dal Landsat 7 il 31 agosto 2000.

Fonte NASA-Climate Change: http://climate.nasa.gov/imagesVideo/earthWallpaper/index.cfm

Sabrina

sabato 15 ottobre 2011

La Terra vista dallo spazio


Credit: Image and caption courtesy of the Our Earth as Art gallery. Credit: USGS/NASA/Landsat 7. Cliccare sull'immagine per iingrandire.


Nelle parole di Carl Sagan "The Earth is a very small stage in a vast cosmic arena - La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica".

Ma per noi la Terra è tutto.

E' il luogo dove noi viviamo, amiamo, lavoriamo e giochiamo. E' il luogo dove si nasce e si muore. Dallo spazio la Terra è grande, blu e meravigliosa, fragile e di grande ispirazione. E' l'unico pianeta che abbiamo. L'unico pianeta che abbiamo visitato.

Guinea-Bissau è un piccolo paese a ovest dell'Africa. Complesse strutture si possono osservare nelle acque basse lungo la costa, dove il limo viene trasportato dal Geba e da altri fiumi che sfociano nell'Oceano Atlantico.
L'immagine è stata fatta dal Landsat 7 il 1° dicembre 2000.

Fonte Climate Change-NASA: http://climate.nasa.gov/imagesVideo/earthWallpaper/index.cfm

Sabrina

Correlazione tra attività solare e inverni rigidi?


Fonte: http://www.free-photos.biz/photographs/nature/earth_from_space/181144_earth_s_northern_hemisphere_with_sea_ice_and_clouds.php


Alcuni ricercatori inglesi hanno dimostrato per la prima volta un chiaro legame tra il ciclo di attività solare di 11 anni e il clima invernale nell'emisfero nord.

In particolare si è trovato che un basso ciclo di attività solare può contribuire ad inverni più freddi nel Regno Unito (dove la ricerca è stata compiuta), nel Nord Europa e in alcune parti dell'America. Un'intensa attività solare ha effetti opposti, comportando un aumento del caldo.

Lo studio aiuta a spiegare perchè il Regno Unito ha avuto parecchi inverni freddi negli ultimi anni. Il Sole, infatti, è appena uscito da un minimo di attività solare.

"La nostra ricerca stabilisce un legame tra il ciclo di attività solare e il clima invernale non come fosse una semplice coincidenza" ha affermato il Dottor Adam Scaife del Met Office del Regno Unito, uno degli autori della ricerca.

I risultati, pubblicati su Nature Geoscience, fanno pure aumentare la possibilità allettante che la regolarità del ciclo solare possa aiutare i meteorologi nel prevedere l'arrivo dei rigidi inverni nell'emisfero settentrionale del pianeta.

"Siamo stati in grado di riprodurre un modello consistente di clima, di confermare come questo modello funzioni e di quantificarlo utilizzando un modello con il computer. Il ciclo di attività solare non è il solo fattore a guidare il clima invernale sulle nostre regioni e sull'emisfero Nord ma è un fattore significativo e capirlo è importante per le previsioni stagionali decennali" ha affermato Scaife.

Finora i ricercatori sono riusciti a vedere solo un debole legame tra attività solare e clima invernale. Quando il Sole è meno attivo, è più facile rilevare dei deboli venti occidentali durante l'inverno nell'emisfero settentrionale. Questo modello suggerisce che i venti orientali potrebbero portare freddo dal continente verso il Regno Unito.

Ma i ricercatori hanno cercato di incorporare anche le radiazioni ultraviolette (UV) provenienti dal Sole nei modelli climatici.

Le recenti misurazioni ottenute dal satellite Solar Radiation and Climate Experiment (SORCE) della NASA hanno rivelato che le differenze di luce ultravioletta che raggiunge la Terra durante il ciclo di undici anni solari sono più grandi di quanto si pensasse. Il satellite, lanciato nel 2003, è il primo a misurare la radiazione solare in tutto lo spettro ultravioletto.

"Lo srumento a bordo di SORCE è in grado di dividere la luce ultravioletta in piccoli intervalli di lunghezza d'onda, offrendo una buona risoluzione spettrale. Prima di questo strumento, i modelli climatici utilizzavano bande spettrali molto ampie, per cui non si poteva rivelare il segnale proveniente dal Sole" ha affermato Joanna Haigh, Professoressa di Fisica presso l'Imperial College di Londra.

Utilizzando queste nuove informazioni in un modello climatico del Met Office, Scaife, Haigh e altri ricercatori del Met Office e dell'Università di Oxford, sono riusciti a dimostrare che è possibile riprodurre gli effetti della variabilità solare che appare nei documenti sul clima.

Sembra che quando l'attivtà ultravioletta solare è bassa, dell'aria insolitamente fredda si formi sopra i tropici nella stratosfera dell'atmosfera terrestre, a circa 50 chilometri di altezza. Questa viene bilanciata da un flusso d'aria che proviene da oriente sopra le medie latitudini e che poi si dirige verso la superficie terrestre, portando i venti orientali e inverni freddi nel Nord Europa.

Ma quando l'attività solare è maggiore, intorno al picco di 11 anni di attività solare, accade il contrario: forti venti occidentali portano aria calda e inverni molto miti in Europa.

"Quello che stiamo osservando è che i livelli ultravioletti hanno effetti sulla distribuzione di masse d'aria intorno al bacino Atlantico. Questo causa una ridistribuzione del calore. Così, mentre l'Europa e gli Stati Uniti possono stare più al fresco, il Canada e il Mediterraneo stanno più al caldo e c'è poco impatto diretto sulle temperature globali" ha spiegato Sarah Ineson del Met Office, autrice del rapporto.

"Anche con i modelli atmosferici più sofisticati, è davvro molto difficile prevedere le condizioni meteorologiche su scale temporali stagionali. Questo studio, insieme alla nostra ricerca attraverso il Corsorzio NERC Solar Variability and Climate (SOLCLI), sta aggiungendo molti dettagli alla nostra attuale comprensione del clima" ha affermato Haigh.

Haigh ci tiene a sottolineare che questi risultati si basano su un solo satellite. "Se ci fosse qualche problema con lo strumento che abbiamo utilizzato per ottenere questi nuovi dati, allora il lavoro non andrebbe bene".

Haigh è tuttavia fiduciosa del funzionamento del loro modello. "Mentre i dati statistici hanno sottolineato i legami tra raggi ultravioletti provenienti dal Sole e il clima invernale, questo nuovo articolo spiega come questi legami siano avvenuti" ha concluso.

E' disponibile l'articolo su Nature Geoscience: "Solar Forcing of Winter Climate Variability in the Northen Hemisphere" di Sarah Ineson, Adam A. Scaife, Jeff R. Knight, James C. Manners, Nick J. Dunstone, Lesley J. Gray e Joanna D. Haigh: http://www.nature.com/ngeo/journal/vaop/ncurrent/full/ngeo1282.html

Sabrina

giovedì 1 settembre 2011

L'uragano Katia dallo spazio


L'uragano Katia visto dalla Stazione Spaziale Internazionale. Credit: NASA.


Katia era una tempesta tropicale che stava raccogliendo energia sopra l'Oceano Atlantico quando gli astronauti dell'equipaggio 28 a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) hanno preso questo foto il 31 agosto scorso con una camera di 12 mm di lunghezza focale alle ore 14:09 GMT.

Nel corso della stessa giornata, lo stato di Katia è stato aggiornato a "uragano". Le due astronavi russe Progress e Soyuz, a sinistra dell'immagine, sono ancorate alla ISS.

Fonte: http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/image_feature_2051.html

Sabrina

Ora arriva l'uragano Katia e...


Il National Hurricane Center ha emesso degli avvisi relativi all'uragano Katia, che si trova attualmente a circa 1064 miglia ad est delle Isole Leeward, e relativamente all'Oceano Atlantico settentrionale, il Mare dei Caraibi e il Golfo del Messico.

Nella mappa qui sopra si osserva una zona di bassa pressione (in rosso), posizionata nel Golfo del Messico centrale, che sta producendo una vasta area di nuvolosità, temporali e raffiche di vento. I venti che spirano molto forti tenderanno ad attenuare questo fenomeno e si prevede un miglioramento nelle prossime ore. Tuttavia, il sistema potrebbe diventare una depressione tropicale. Dato che si sta spostando lentamente verso nord-est, la probabilità che si formi un ciclone tropicale nelle prossime 48 ore è al momento stimata intorno al 70%. L'intero Golfo del Messico è monitorato continuamente per poter informare tempestivamente la popolazione di un eventuale pericolo.


La stessa immagine ripresa dal satellite. Credit National Hurricane Center.


Un secondo sistema di bassa pressione (in giallo) di natura non tropicale è posizionato a circa 360 miglia a nord delle Bermuda. Si prevede che il sistema si muoverà verso nord-est, da 10 a 15 MP/h (miglia per ora), senza uno sviluppo significativo nei prossimi due giorni. La probabilità di diventare un ciclone tropicale nelle prossime 48 ore è intorno al 10%.

Ben visibile anche l'uragano Katia (la virgola rossa sulla mappa), al momento di categoria 1.


Fonte NOAA-National Hurrican Center: http://www.nhc.noaa.gov/graphics_at2.shtml?5-daynl?large#contents


Il cono bianco rappresenta il cammino probabile del centro dell'uragano, non la dimensione della tempesta. Il puntino arancione indica la poszione attuale, alle ore 5 am EDT, ossia le 11 di stamattina in Italia. Sono pure rapprensentate le posizioni previste per domani, 2 settembre alle ore 2 am (8 in Italia) e per dopodomani, 3 settembre, sempre alla stessa ora. Nel cono tratteggiato, le previsioni sono quelle per i prossimi 4-5 giorni e sono indicate le posizioni possibili dell'uragano per i giorni di lunedì e martedì sempre alla stessa ora.

La lettera all’interno del punto indica l’intensità prevista dal National Hurricane Center per quell’istante di tempo:

D – Depressione tropicale (Tropical Depression) – velocità del vento inferiore a 39 MPH (miglia/ora)
S – Tempesta tropicale (Tropical Storm) – velocità del vento tra i 39 e i 73 MPH
H – Uragano (Hurricane) – velocità del vento tra i 74 e i 110 MPH
M – Uragano Maggiore (Major Hurricane) – velocità del vento superiore a 110 MPH

In questo caso, l'uragano Katia rientra nella categoria H, con una velocità di 75 MPH. ossia di circa 120 km/h (un miglio orario equivale a 0,44704 m/s e a 1,60934 km/h).

Fonte: National Hurricane Center: http://www.nhc.noaa.gov/index.shtml?

Sabrina

martedì 30 agosto 2011

L'uragano Irene se n'è andato


La traccia della tempesta tropicale e il percorso dell'uragano Irene, che nei giorni scorsi ha scosso la East Coast degli Stati Uniti, sono forniti dal National Hurricane Center (NOAA). Le nuvole immaginarie sono state fornite da Xplanet, ottenute dal NERC Satellite Station, University of Dundee, attraverso il sistema di satelliti europeo Meteosat gestito da EUMETSAT. Le immagini di base sono per gentile concessione della NASA. I modelli di previsione dei dati sono stati compilati e recuperati dal South Florida Water Management District. Cliccare sull'immagine per ingrandire.

L'uragano Irene ha lasciato dietro di sè almeno 38 morti, cinque milioni di Americani senza elettricità per molte ore e milioni di dollari di danni. Molte aree sono tornate alla normalità, in altre invece si ha ancora il problema delle innondazioni.



Questa l'ultima immagine fornita dal satellite del NOAA, ieri sera, 29 agosto 2011 alle ore 8 PM, le due del mattino del 30 agosto in Italia. Irene se nè andato.

Fonte: http://www.nhc.noaa.gov/gtwo_atl.shtml e http://www.stormpulse.com/hurricane-irene-2011 . Per chi è interessato, su OurAmazingPlanet potete trovare gli otto uragani più devastanti nella storia dal 1900 in poi. Il link è su:
http://www.ouramazingplanet.com/worst-hurricanes-america-hurricane-katrina-0470/

Sabrina

domenica 28 agosto 2011

Irene, da uragano a tempesta tropicale


Grafico disponibile sul sito del National Weather Center - National Hurricane Center che mostra il cammino dell'uragano Irene (ora declassato a tempesta tropicale) nei prossimi giorni. 8 PM Monday = ore 20 di lunedì 29 agosto; 8 PM Tue = ore 20 di martedì 30 agosto; 8 PM Wed= ore 20 di mercoledì 21 agosto 2011. Cliccare per ingrandire.

Questo grafico mostra una rappresentazione approssimativa delle zone costiere sotto l'allarme di uragano (in rosso), di uragano in vista (giallo) di allarme di una tempesta tropicale (blu) oppure l'allarme di una tempesta tropicale in vista (giallo). Il cerchio arancione indica la posizione attuale del centro del ciclone tropicale.

Quando selezionata, la linea nera e i puntini mostrano la traccia prevista dal National Hurricane Center (NOAA) del centro della tempesta/uragano alle ore indicate. Il punto che indica la previsone della posizione centrale è nero qualora si prevede che il ciclone sia di tipo tropicale, bianco con un contorno nero se è previsto essere di tipo extra tropicale.
La lettera all'interno del punto indica l'intensità prevista dal National Hurricane Center per quell'istante di tempo:

D - Depressione tropicale (Tropical Depression) - velocità del vento inferiore a 39 MPH (miglia/ora)
S - Tempesta tropicale (Tropical Storm) - velocità del vento tra i 39 e i 73 MPH
H - Uragano (Hurricane) - velocità del vento tra i 74 e i 110 MPH
M - Uragano Maggiore (Major Hurricane) - velocità del vento superiore a 110 MPH

Le tracce previste del moto del ciclone tropicale potrebbero essere sbagliate. Questa incertezza nella previsione è tracciata dal cono bianco che si osserva nell'immagine. L'area bianca rappresenta un'incertezza su 1-3 giorni di previsione, mentre l'area punteggiata rappresenta l'incertezza su 4-5 giorni.

Il cono contiene il cammino probabile del centro della tempesta ma non rappresenta le dimensioni della tempesta stessa. Cattive condizioni di tempo si potrebbero manifestare anche fuori del cono bianco.

I dati storici, raccolti nel corso del tempo e delle osservazioni e previsioni, mostrano che un cammino di cinque giorni del centro del ciclone tropicale ha una probabilità di rimanere entro entro il cono per circa il 60-70% del tempo. Per ottenere il cono bianco sono stati disegnati una serie di cerchi immaginari posti lungo il tracciato previsto in posizione 12, 24, 36, 48, 72, 96 e 120 h, dove la dimensione di ogni cerchio è tale che possa racchiudere il 67% degli errori nei cinque anni precedenti di previsione ufficiale.



Un'altra immagine della posizione di Irene fornita dal National Hurricane Center qualche ora fa. Si osserva che si sta formando un altro uragano, Jose. Sotto, il video realizzato dal NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration, quando Irene, da uragano, è diventato tempesta tropicale.

http://www.youtube.com/watch?v=0UctI_yPfVE

Fonte: National Hurricane Center: http://www.nhc.noaa.gov/index.shtml

NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration: http://www.noaa.gov/

Sabrina

L'uragano Irene si avvicina a New York


Una delle ultime immagini dell'uragano Irene riprese dal NOAA (National Hurricane Center) e messe a disposizione su Twitter da Justin Kenney (NOAA) tre ore fa. Come si osserva, l'uragano si sta spostando sempre di più verso nord della costa est americana. Cliccare per ingrandire.

Un pensiero va a tutti i miei amici che in questo momento, purtroppo, sono nell'occhio del ciclone. Mi auguro che tutto vada per il meglio.

Sabrina

sabato 27 agosto 2011

Irene, uragano storico


Immagine dell'uragano Irene ripresa dal satellite disponibile su: http://www.weather.com/weather/hurricanecentral/article/hurricane-irene-major-northeast-threats_2011-08-23


Ultime immagini dal satellite sul moto dell'uragano Irene che in questi giorni sta minacciando la costa orientale degli Stati Uniti e che è previsto anche sulla città di New York. E' la prima volta nella storia americana che le autorità prendono un provvedimento di evacuazione della popolazione. Il Presidente Americano Barak Obama da Martha's Vineyard (Massachusetts), in vacanza fino a ieri, ma ora in rientro a Washington, ha affermato che "Irene è estremamente pericoloso e sarà un uragano storico". Ovviamente, il ricordo va a Katrina che il 29 agosto 2005 allagò New Orleans e la regione del delta del Mississipi.


Immagine disponibile su: http://www.weather.com/maps/news/atlstorm9/truvu15_large.html


In questa immagine qui sopra, i livelli di rischio sono indicati in vari colori. Il giallo indica un livello basso (low), l'arancio un livello medio (med), il rosso un livello alto (high), quello viola un rischio estremamente alto (extreme) e il bianco il livello più alto e terribile, quello catastrofico (catastrophic).
Come si osseva, su tutta la fascia costiera (e anche ben all'interno della costa) l'uragano avrà un'intensità con livello estremo.



Mappa disponibile su: http://www.weather.com/weather/hurricanecentral/article/hurricane-irene-major-northeast-threats_2011-08-23


Qui il campo di forza del vento della tempesta tropicale Irene. Il grafico mette in evidenza l'area generale della minaccia del vento e dei possibili danni che esso potrebbe provocare. Come si osserva, una grande fetta del Nord-Est potrebbe avere interruzioni di corresi e alberi abbattuti. In azzurro più intenso sono indicate le aree che potrebbero presentare danni, in azzurro più chiaro quelle dove i danni potrebbero essere più vasti.

Il NOAA (Centro controllo uragani di Miami) ha declassato l'uragano Irene ad un livello 2 su un massimo di 5.
Qui sotto, l'immagine dell'uragano Irene disponibile sul sito del NOAA. L'area in nero indica la zona che verrà interessata dall'uragano.




Sul sito del NOAA si trova il seguente avviso:

THE NATIONAL HURRICANE CENTER IS ISSUING ADVISORIES ON HURRICANE IRENE...LOCATED ABOUT 180 MILES SOUTH-SOUTHWEST OF CAPE LOOKOUT NORTH CAROLINA...AND ON TROPICAL DEPRESSION TEN...LOCATED ABOUT 660 MILES WEST OF THE SOUTHERNMOST CAPE VERDE ISLANDS.

ELSEWHERE...TROPICAL CYCLONE FORMATION IS NOT EXPECTED DURING THE NEXT 48 HOURS.

"Il National Hurricane Center emette avvisi sull'uragano Irene. Posizionato a circa 180 miglia a sud-sud-ovest di Cape Lookout nel North Carolina e sulla depressione tropicale dieci, a circa 660 miglia a ovest delle Isole occidentali di Capo Verde.
Altrove non è pervenuta formazione di cicloni tropicali nelle prossime 48 ore".

Fonte Weather.com: http://www.weather.com/maps/news/atlstorm9/truvu15_large.html
NOAA: http://www.nhc.noaa.gov/



Mappa delle zone interessate all'evacuazione. Disponibile su: http://wny.cc/EvacZones oppure: http://project.wnyc.org/news-maps/hurricane-zones/hurricane-zones.html Cliccare per ingrandire.

Sabrina

L'uragano Irene dalla ISS


Al di fuori dell'atmosfera, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), l'astronauta Ron Garan ha catturato questa foto dell'uragano Irene quando è passato sui Caraibi lo scorso 22 agosto 2011.

Il National Hurricane Center ha fatto sapere, proprio quel giorno, che Irene avrebbe causato una notevole quantità di pioggia nelle zone di Puerto Rico, nelle isole Vergini, nella Repubblica Domenicana, ad Haiti, nelle Bahamas sud occidentali e nelle Isole Turks e Caicos raggiungendo i 13-26 cm. Ma, in realtà, la quantità di pioggia ha raggiunto i 51 cm.



Irene ripreso dalla ISS il 23 agosto 2011 sopra le Bahamas. Cortesia NASA.


Nel pomeriggio del 25 agosto, a partire dalle 3:45 ED (le 9.45 ora italiana) la camera a bordo della ISS, a circa 400 chilometri al di sopra della superficie terrestre, ha catturato delle ulteriori foto, spettacolari anche se terribilmente drammatiche.


Il satellite GOES-13 cattura Irene lo scorso 25 agosto mentre si stava avvicinando alle Isole Bahamas. Cortesia NASA.


Ad un certo momento, un membro dell'equipaggio della ISS, osservando questo immenso uragano: " Siamo abituati a percorrere lunghe distanze, ma questa tempesta si estende da Cuba alla Carolina. E' una tempesta di enorme paura".
Il video è stato mostrato su NASA TV e lo potete trovare su: http://www.nasa.gov/multimedia/videogallery/index.html?media_id=108144931



Immagini tratte dal video della NASA a bordo della ISS. Cortesia NASA.





Tutta la costa Est americana è stata allertata, comprese le città di New York e Washington e lo stato della Carolina del Sud dove è previsto il maggior impatto dell'uragano. Molte zone sono già state evacuate. L'arrivo dell'uragano è previsto per oggi sulla costa, per domani nella parte più interna del paese.

Irene al momento è classificato come un uragano di intensità 3, ma si prevede che tra oggi e domani il livello si possa innalzare fino a 4-5, quando arriverà sulla terraferma. Si stima che dovrebbe attenuarsi, e quindi ad essere declassato al livello 2 quando arriverà a New York.

Il mio pensiero va ai molti amici americani colpiti, in quest'ultima settimana, da varie catrastrofi ambientali e naturali: il terremoto dei giorni scorsi, che ha presentato ulteriori scosse di assestamento; l'arrivo della nube radioattiva nella parte occidentale del paese, come conseguenza del disastro giapponese del marzo scorso in seguito ad un altro tremendo terremoto (http://www.foxnews.com/scitech/2011/08/15/radiation-from-japan-reached-us-west-coast-scientists-reveal/ ) e l'arrivo dell'uragano Irene nella parte orientale.

Fonte: NASA: http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/image_feature_2043.html

http://www.nasa.gov/mission_pages/hurricanes/archives/2011/h2011_Irene.html

Altri link: BoingBoing - http://boingboing.net/2011/08/25/hurricane-irene-as-seen-from-space-video-photo-shot-by-astronaut.html
The Weather Channel: http://www.weather.com/weather/hurricanecentral/tracker

The Huffington Post: http://www.huffingtonpost.com/2011/08/25/hurricane-irene-new-york_n_937101.html?ir=UK

Sabrina

mercoledì 23 marzo 2011

Sul Global Warming



Interessanti articoli sul Cambiamento climatico sono disponibili su Meteo.it:

http://www.meteo.it/Clima-Cambiamenti/section/it/1-693-57754

In particolare:

Riscaldamento globale e riduzione dei ghiacci marini:
di Yuri Brugnara - MeteoNetwork, 21/01/2010

I gas serra e l'effetto serra
di Mario Giuliacci - Centro Epson Meteo, 06/11/2008

Oceano Pacifico e Global Warming: interessanti analogie
di Giacomo Masato - MeteoNetwork, 06/11/2008

Global Warming: una battuta d'arresto?
di Mario Giuliacci - Centro Epson Meteo, 06/11/2008

Effetto serra: vero o falso?
di Mario Giuliacci - Centro Epson Meteo, 30/10/2008

Lo stato di salute dei ghiacci artici negli anni 2005-2006
di Andrea Giuliacci - Settembre 2006, pubblicato il 28/10/2008

Ghiacci polari e atmosfera terrestre
di Mario Giuliacci - Centro Epson Meteo, 28/10/2008 .

Sabrina

Il riscaldamento globale e i nostri occhi

Fonte: http://it.dreamstime.com/immagini-stock-libere-da-diritti-occhio-umano-image17316829



Si è trovata una correlazione tra riscaldamento globale e incidenza di malattie agli occhi. E' quello che è emerso da uno studio dell'Università di Copenhagen pubblicato qualche giorno fa su Investigate Ophthalmology & Visual Science.

L'occhio risente di un aumento della temperatura corporea e atmosferica. La temperatura elevata incide sull'elasticità e sulla trasparenza del cristallino, la lente biconvessa del nostro occhio (che insieme alla cornea permette di mettere a fuoco l'immagine sulla retina). Questo provoca un invecchiamento precoce dell'occhio e quindi l'insorgere precoce della presbiopia.

Un rimedio semplice contro la presbiopia, che si manifesta soprattutto dopo i 45 anni, può essere la tecnica della "Monovisione", secondo la quale un occhio viene corretto per la visione da lontano e l'altro occhio per la visione da vicino. L'intervento chirurgico è veloce, della durata di alcuni minuti con l'utilizzo di un collirio anestetico (e quindi in assenza di dolore). Breve anche la durata del post intervento, senza la necessità di bendare l'occhio. Si applicano lenti morbide di protezione che verranno tolte cinque giorni dopo l'intervento.

Fonte Noi Salute de Il Gazzettino, marzo 2011.

Sabrina